L’interesse per gli investimenti sostenibili è all’ordine del giorno. Secondo i dati Morningstar, nel 2022 il 65% dei flussi di investimento europei negoziati in Borsa (circa 51 miliardi di euro) è stato destinato a prodotti “ESG-compliant”, ovvero quelli che rispettano i criteri di finanza sostenibile.
Le imprese sono sottoposte a crescenti pressioni per guadagnarsi l’appellativo di ‘business etico e responsabile’ dal punto di vista ambientale e sociale, ma in che modo i criteri ESG aiutano a valutare l’impatto che le imprese hanno sul pianeta?
Mettere al centro le questioni ambientali, sociali e di governance (da cui la sigla ESG, Environmental, Social, and Governance) è diventato uno dei temi caldi degli ambienti aziendali e dei processi di investimento caratterizzati da una strategia green, in linea con l’attuale transizione energetica e l’attenzione sempre maggiore a tematiche ambientali e sociali.
I criteri ESG sono dunque un quadro di riferimento per favorire gli investimenti sostenibili e la valutazione viene effettuata sulle base delle prestazioni dell’azienda in tre aree chiave:
Gli investimenti sostenibili potrebbero sembrare un’invenzione di ultima generazione, ma lasciare che l’etica guidi le decisioni di un investimento non è un concetto del tutto nuovo.
Se già a metà del ‘700 la Chiesa Metodista sosteneva l’esigenza di legare etica e finanza, fu nel 1928 con la costituzione del Pioneer Fund, il primo fondo di investimento socialmente responsabile, che si istituì ufficialmente una politica di investimento che escludeva le società coinvolte nella produzione di alcol, nel gioco d’azzardo e in altre attività considerate moralmente discutibili.
L’idea prese piede e il primo fondo di investimento etico (un fondo comune, chiamato Pax World Fund) fu istituito nel 1971 in segno di protesta contro la guerra in Vietnam.
L’attuale politica dietro gli ESG però va oltre, in quanto fornisce una serie di criteri che consentono agli investitori di valutare quanto sia etica e sostenibile qualsiasi azienda.
L’idea è che le aziende con punteggi ESG elevati sono in grado di portare cambiamenti positivi e di conseguenza hanno maggiori probabilità di prosperare, a differenza di quelli con punteggi bassi che invece danneggiano il pianeta e perdono dunque di valore.
Il pensiero mainstream sui rating ESG è che sono di fondamentale importanza per due motivi.
Innanzitutto, in un momento in cui si è sempre più preoccupati per il cambiamento climatico e l’interesse per le attività sostenibili è in crescita, i criteri ESG offrono una serie di criteri oggettivi per giudicare le imprese.
Ci sono quelle aziende che si sforzano di migliorare il pianeta – e quelle che, nonostante si pubblicizzino come sostenibili, hanno credenziali discutibili.
In secondo luogo, i sostenitori di ESG ne riconoscono i vantaggi finanziari. Gli studi suggeriscono che gli investimenti con punteggi ESG elevati offrono rendimenti superiori a quelli di mercato. Ciò è in genere attribuito al fatto che gli investimenti sostenibili conformi ai criteri ESG hanno generalmente un rischio minore e creano valore.
L’analisi ESG consente inoltre di identificare opportunità e rischi che non emergerebbero in un’analisi finanziaria tradizionale, come i benefici della creazione di energia pulita e rinnovabile o i danni causati dallo sfruttamento del lavoro minorile.
Più significativamente, ESG è talvolta ridotto a una questione di domanda e offerta. Sempre di più gli investitori vogliono impiegare i propri fondi in imprese sostenibili, quindi, per rimanere competitivi, i prodotti di investimento devono essere attenti alle tematiche sociali e ambientali e ESG offre un modo per garantire che questo accada.
Mentre, a prima vista, è difficile non essere d’accordo con l’idea alla base dei criteri ESG, i suoi detrattori ritengono che gli argomenti a suo favore siano fondamentalmente imperfetti.
Angelo Meda, responsabile della ricerca Esg di Banor Sim in collaborazione con il Politecnico di Milano, ha spiegato che “una maggiore convergenza degli analisti sui punteggi Esg riduce le asimmetrie informative e spinge gli investitori a privilegiare alcuni titoli azionari a svantaggio di quelli dove si registra un maggiore disaccordo […], un segno dell’importanza che investitori e azionisti attribuiscono oggi alle valutazioni Esg dei titoli”.
Secondo Stuart Kirk, ex responsabile globale degli investimenti sostenibili di HSBC, ci sono due problemi fondamentali con i criteri ESG nella loro forma attuale.
Da un lato, i rischi finanziari derivanti dal cambiamento climatico vengono gonfiati a dismisura, dall’altro gli esseri umani hanno una comprovata esperienza di adattamento che i modelli di rischio climatico non tengono in considerazione, spiegando come solo 100 anni fa non avremmo mai capito la deindustrializzazione, o l’ascesa dell’economia dei servizi, o che le macchine sarebbero diventate sempre più efficienti.
La presentazione di Stuart Kirk è stata duramente criticata per aver fatto luce sulla crisi climatica e alla fine gli è costata il lavoro. Ma anche alcuni dei suoi più grandi oppositori riconoscono che, da un punto di vista puramente finanziario, sia il buon senso a parlare.
Facendo eco a Kirk, il professor Hans Taparia della Stern School of Business della New York University, ritiene che il problema più grande con i criteri ESG sia che, talvolta, aiuti l’ascesa di business discutibili dal punto di vista etico.
Invece di valutare le aziende in base a quanto siano responsabili dal punto di vista ambientale e sociale nella loro totalità, misura soltanto alcuni fattori ESG, come la quantità di emissioni di carbonio di alcune pratiche rispetto ad altre, evitando dunque che lo score ESG totale possa danneggiare la performance finanziaria.
Questo, dice, produce risultati perversi come nel caso di McDonald’s, il cui rating ESG nel 2021 citava la riduzione dei rischi per i guadagni dell’azienda a seguito di modifiche apportate in merito al materiale di imballaggio e allo smaltimento dei rifiuti, senza tenere in considerazione che in realtà la maggior parte delle emissioni di gas serra derivano dalle operazioni della catena di approvvigionamento di McDonald’s, uno dei maggiori acquirenti mondiali di carne bovina (emissioni cresciute del 16% dal 2015 al 2020).
Con la Commissione Europea sempre più impegnata nella lotta alla crisi climatica e le Nazioni Unite che osservano come l’ineguaglianza danneggi la crescita economica e la riduzione della povertà, è chiaro che il modo in cui facciamo affari deve cambiare. Per noi stessi e per le generazioni che verranno dopo di noi.
Da questo punto di vista, i criteri ESG sono forse un passo nella giusta direzione, dal momento che pongono l’attenzione sugli impatti che le cattive pratiche commerciali hanno sulla società e sul nostro pianeta e sottolinea come la capacità di un’azienda di ridurre il proprio consumo energetico è un’enorme opportunità di creazione di valore.
Marco Tofanelli, Segretario Generale di Assoreti, afferma che “L’aumento che si verificherà è dettato da due fattori: da un lato, dalla consapevolezza delle Reti – che considerano oggi la sostenibilità uno dei tre temi più rilevanti dal punto di vista strategico […]. Dall’altro, anche dalla crescente richiesta delle stesse famiglie italiane verso prodotti etici. Un connubio che porterà ad un aumento delle masse ESG nei portafogli dei clienti”.
Ma se le intenzioni devono diventare azione e, a loro volta, creare un cambiamento reale e duraturo, potrebbe essere necessario ripensare il modo in cui vengono valutate le classifiche ESG delle imprese. Quel che è certo è che le aziende che hanno apportato cambiamenti significativi al proprio modo di produrre e fare affari possono offrire opportunità più interessanti, sia dal punto di vista dell’impatto sulla società che sul rendimento per gli investitori.
Inizia oggi ad avere una maggiore visibilità e controllo sulle finanze della tua azienda